lunedì 25 maggio 2009

LIBERATELA!


Mentre continua a Rangoon il processo a Aung San Suu Kyi, l'Unione Europea ha chiesto alla giunta militare birmana l'immediata liberazione della donna. Se fosse ritenuta colpevole, potrebbe essere condannata fino a 5 anni di reclusione e le verrebbe preclusa la partecipazione alle elezioni parlamentari in programma nel 2010.

Così diceva Piero Fassino, inviato speciale dell'UE per la Birmania, in un'intervista prima dell'inizio del processo:

«La verità vera è che questo regime teme Aung San Suu Kyi oltre ogni altra cosa. La teme perché figlia del fondatore della Birmania indipendente e ne mantiene vivo il ricordo carismatico; la teme perché è una donna coraggiosa, divenuta per milioni di birmani e per una grande opinione pubblica internazionale l’emblema della lotta di libertà del suo popolo; la teme perché Aung San Suu Kyi ha fatto della non violenza il suo credo e questo ha accresciuto ancora di più la sua popolarità, il suo carisma. Il regime la teme perché sa che Aung San Suu Kyi libera diventerebbe immediatamente un punto di riferimento per quei tanti birmani che da anni e anni vivono in un regime di oppressione ma non si sono rassegnati e continuano a battersi perché la Birmania possa finalmente approdare a un regime di democrazia e di libertà. Proprio per questo non possiamo lasciare Aung San Suu Kyi sola e serve un impegno ancora più grande della comunità internazionale nel sostenere l’azione del segretario generale dell’Onu e del suo rappresentante Gambari. E l’Unione Europea è in prima fila in questo impegno».

Quali gli obiettivi su cui focalizzare l’iniziativa internazionale?
«Sono essenzialmente tre: ottenere la libertà di Aung San Suu Kyi e per i duemila esponenti politici che oggi sono prigionieri; l’apertura di un dialogo tra giunta, opposizione, comunità etniche per definire consensualmente un percorso di riconciliazione nazionale, e dentro questo percorso, definire anche quale è il quadro di garanzie democratiche effettive che consentano alle elezioni del 2010 di non essere un passaggio puramente formale di legittimazione del potere dei militari, ma essere elezioni effettivamente libere tali da innescare un processo nuovo in Birmania».

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